Detti Napoletani
In questo articolo parleremo di detti napoletani ma è bene fare una premessa. Il napoletano è a tutti gli effetti una lingua. Una lingua complessa e ricca di espressioni tipiche e intraducibili. O meglio, una traduzione la si può anche tentare ma il risultato non è proprio lo stesso, almeno in termini di sensazioni.
Ad esempio, possiamo anche provare a tradurre te voglio bene assai, che sta per ti voglio tanto bene, ma credetemi che le due frasi così simili, sono in realtà molto diverse. La passionalità della prima non la si riesce a rendere con la seconda. Lo stesso vale per le ingiurie. Se grido scarda ‘e cantaro il risultato è ben diverso da se dico “scheggia di water”. In napoletano si rendono bene le passioni al massimo del loro potenziale, ovviamente nel bene e nel male.
Il napoletano è una lingua potentissima che riesce a portarvi da un punto di estrema dolcezza e affetto a uno di massima violenza. Insomma è una lingua che riflette la città in cui è nata, una città di contrasti violenti, una città che, come diceva una scrittrice, va da zero a dieci senza passare da uno a nove.
‘A Maronna t’accumpagna
Alcuni dei detti napoletani più noti nascono dalla saggezza popolare, altri invece dalla storia della città. Oggi ne analizzeremo quattro alquanto Famosi che derivano appunto da alcuni avvenimenti storici.
Cominciamo con il classico ‘a Maronna t’accumpagna. Precisiamo innanzitutto che le finali nel dialetto napoletano si scrivono ma non si leggono, il che accentua l’espressività delle parole.
Nel ‘700 a Napoli, nei vicoli che sicuramente avrete notato girando per la città, di notte era molto buio e così i malviventi ne approfittavano. Per derubare i passanti si usava la tecnica della fune. I malintenzionati si disponevano uno da un lato e uno dall’altro della strada e tendevano una fune che al buio era praticamente invisibile. I passanti inciampavano nella fune e venivano poi prontamente derubati. Così un sacerdote di nome Giorgio Maria Rocco decise di trovare una soluzione. Fu così che si decise di accendere delle luci, dei lumini, davanti alle edicole della madonna sparse in giro per la città.
Questo stratagemma permetteva di illuminare meglio i vicoletti, il tutto a spese dei fedeli ovviamente, e impediva il giochetto della fune. Peraltro spegnere il lume messo davanti alla Madonna era considerato sacrilegio e così nessuno li toccava. Lo stratagemma funzionò così bene che il numero di edicole e di luci aumentò a vista d’occhio. Fu così che la città di Napoli nel ‘700, nonostante non esistesse la luce elettrica, divenne la città più illuminata d’Europa.
Che c’entra dunque il nostro detto? Semplice. L’espressione ‘a Maronna t’accumpagna significava proprio questo, muoviti lungo le strade illuminate dalle edicole della Madonna così sarai al sicuro.
Di che Maronna stai parlando?
Continuiamo con i detti napoletani a tema religioso e nello specifico con la Madonna. L’espressione Ma di che Maronna stai parlando? Può sembrare apparentemente una bestemmia ma non lo è assolutamente.
Anche il grande Luciano De Crescenzo ha cercato di spiegare l’origine di questa espressione che è legata sì all’ambito religioso ma non nel modo in cui potete pensare voi.
Insomma a Napoli e dintorni esistono tante Madonne, quella del Carmine, quella di Pompei, quella dell’Arco, per cui si può generare una certa confusione.
Ecco perché se delle persone stanno discutendo e si fa confusione, nel senso che non ci si capisce più niente, qualcuno potrebbe urlare, ma di che Maronna stai parlando? Vale a dire, di quale delle tante Madonne stai parlando? Chiarisciti.
È arrivato Mastuggiorgio
Non lontano da piazza San Domenico, presso la collina di Caponapoli, sorge il noto ospedale degli Incurabili. Certo il nome non è rassicurante ma in realtà si riferiva al fatto che, in questo ospedale, si curavano anche gli incurabili, vale a dire i sifilitici. L’ospedale degli incurabili, nato nel XVI secolo, sorge in un luogo che fin dall’antichità era dedicato alle divinità della salute.
Davanti all’ingresso del museo delle arti sanitarie, che si trova nell’ospedale, c’è un pozzo. Un tempo in quel pozzo ci venivano calati i pazzi allo scopo di calmarli. Questa era una delle tecniche poco ortodosse usate nel XVI secolo dal dottor Giorgio Cattaneo, il medico dei pazzi dell’ospedale. È lui il famoso Mastuggiorgio (Maestro Giorgio).
Il Mastuggiorgio a Napoli è diventato quindi l’infermiere dei pazzi, un vero e proprio mestiere insomma. Però, quando si dice, è arrivato Mastuggiorgio si intende dire che è arrivata una persona che vuole comandare, un prepotente, proprio come il dottor Cattaneo.
Scopri il museo delle arti sanitarie
Giacchino facette ‘a legge e Giacchino fuje acciso
Un altro dei detti napoletani che analizzeremo oggi è legato alla figura di Gioacchino Murat, re di Napoli durante il periodo francese, a inizio ‘800. Gioacchino non fu mai ben visto da gran parte della popolazione, vuoi perché francese vuoi perché all’epoca i Borbone furono allontanati.
Eppure a questo sovrano si devono diversi dei luoghi più prestigiosi di Napoli come ad esempio l’Osservatori astronomico di Capodimonte, l’Orto Botanico, il colonnato di piazza del Plebiscito e il famoso ponte della Sanità.
Nel 1808 Murat fece una legge che puniva con la morte coloro che attentavano alla sicurezza del regno di Napoli. Dopo la caduta di Napoleone però, Gioacchino fu catturato e fucilato proprio in virtù della sua stessa legge.
Ecco perché quando si dice Giacchino facette ‘a legge e Giacchino fuje acciso si intende dire che ti sei dato la cosiddetta zappa sui piedi.
Scopri di più su Gioacchino Murat
Puozze Sculà
Ultimo dei detti napoletani storici che andremo ad analizzare è Puozze Sculà.
Nel XVII secolo i corpi di alcuni napoletani venivano sottoposti a un trattamento particolare. Se andate nel rione Sanità, presso la chiesa di Santa Maria della Sanità, potrete vedere gli scolatoi.
Nelle antiche catacombe di San Gaudioso, furono realizzate nel XVII delle sepolture destinate inizialmente ai soli domenicani che gestivano la chiesa, poi anche a facoltosi che pagavano per una sepoltura speciale vicino al santo.
Lo spazio però non era molto e quindi si doveva cercare di ridurre le dimensioni del cadavere per poter collocare in poco spazio quante più persone possibile e qui entrano in gioco gli scolatoi.
I cadaveri, prima di essere sepolti, venivano messi a scolare. Esatto, è proprio come avete capito, scolare. Insomma si faceva in modo di far drenare i liquidi. Il cadavere veniva dunque seduto su un sedile con sotto un contenitore che doveva raccogliere questi liquidi. Il trattamento poteva dirsi completato quando ormai era rimasto il solo corpo mummificato.
L’espressione Puozze Sculà non è dunque delle più felici perché se qualcuno vi augura di scolare in sostanza vi sta augurando di morire.
Scopri le catacombe di San gaudioso
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