Vincenzo Gemito a Capodimonte
Vincenzo Gemito a Capodimonte potrete ammirarlo fino al 15 novembre 2020. Si tratta di una mostra dedicata allo scultore pazzo, uno degli artisti più famosi di Napoli. Sculture e disegni ci accompagneranno alla scoperta di un uomo unico nel suo genere, che ha saputo rompere gli schemi classici pur facendo largo uso.
Vincenzo Gemito a Capodimonte ci voleva insomma. Un museo del genere non poteva non omaggiare un artista che ha segnato l’800 napoletano. Ma chi era Gemito e perché è diventato così famoso? Scopriamolo insieme.
Un semplice orfanello
Nato quasi sicuramente nel 1852, fu abbandonato il 17 luglio di quell’anno nella ruota dei trovatelli che si trovava presso la chiesa dell’Annunziata. Divenne così a tutti gli effetti un figlio della Madonna. I trovatelli della ruota erano detti figli della Madonna perché a vegliare su di loro c’era la madre di Dio. Nell’orfanatrofio era conservata anche una statua della Vegine alla quale venivano cambiate le scarpe ogni anni…si consumano se ogni notte devi andare avanti e indietro a controllare i bambini.
Vincenzo avrebbe dovuto chiamarsi Genito, o in alternativa Esposito, questo era uno dei cognomi che venivano dati agli orfanelli. Purtroppo però fu commesso un errore al momento della registrazione del nome e Vincenzo divenne Gemito. Affidato a un imbianchino e a sua moglie, il ragazzo ebbe modo di lavorare presso lo studio di alcuni scultori e pur essendosi iscritto all’Istituto delle Belle Arti si ritirò dopo non molto.
Le restrizioni accademiche non facevano per lui ma questo non significa che il “classico” non lo attirasse. Il ragazzo frequentava il museo archeologico di Napoli perché amava osservare le statue antiche che vi erano contenute. Inoltre se ne andava spesso in giro per San Gregorio Armeno ad ammirare i figurari al lavoro. Così pian piano è nata la sua passione per la scultura e il disegno.
Un realista classicista
La mostra di Vincenzo Gemito a Capodimonte può aiutarci a comprendere come classico e realismo esterno riescano a coesistere nelle opere di questo artista. Gemito usa l’antica tecnica della cera persa per le sue opere in metallo e si ispira ai figurari di San Gregorio armeno per le sue opere in terracotta. Insomma parte dal classico per poi introdurre il suo punto di vista.
Gemito diventa famoso proprio per il suo estremo realismo. La prima opera di una certa dimensione che realizzò fu il giocatore. Si tratta della statua di un bambini che gioca con delle carte. Re Vittorio Emanuele la comprò ma in realtà forse non ne comprese il reale significato. Lo scultore, infatti, la realizzò per denunciare la condizione di molti bambini nel periodo post unitario.
Partito per Parigi, dove trascorse tre anni dal 1877 al 1880, Gemito fece fortuna con la famosa statua del Pescatoriello. I soggetti preferiti dall’artista erano persone comuni: bambini, amici, amanti e zingare. Personaggi che studiava fino a rappresentarne la vera anima. Il contrasto tra luci e ombre, superfici lice e ondulate, permettono allo scultore di rappresentare la dualità dell’animo umano.
Nel percorso dedicato a Vincenzo Gemito a Capodimonte, le opere sono disposte in ordine cronologico In modo da seguire i cambiamenti e i progressi dell’artista. Si possono distinguere una fase iniziale, quella dedicata ai due amori perduti, la follia e gli ultimi anni.
Gli amori
Vincenzo Gemito a Capodimonte significa anche amore e follia, altri due temi che caratterizzarono la storia dell’artista. Nel 1872 Gemito conosce Mathilde Deffaud, una donna 9 anni più grande di lui e che fu al suo fianco per otto anni, sia a Napoli che a Parigi. Vincenzo era molto innamorato di lei ma la vide spegnersi a causa di una malattia sotto i suoi occhi.
Stessa sorte toccò ad Anna Cutolo, la modella che conobbe e sposò un anno dopo aver perso Mathilde, nel 1882. Anna diede a Gemito una figlia e gli rimase vicino anche quando all’amore si sostituì la follia.
Eppure, nonostante queste due grandi passioni, si è sempre discusso molto di un probabile orientamento omosessuale dell’artista. I suoi scugnizzi, spesso nudi e in pose alquanto erotiche, hanno fatto pensare a qualcosa di più di semplice apprezzamento artistico.
C’è chi attribuisce la scelta di questi soggetti a una committenza composta da ricchi omosessuali, fatto sta che quella serie di opere ha fatto discutere al punto da ipotizzare una storia d’amore anche tra Gemito e l’amico Antonio Mancini, anche lui finito in manicomio come Vincenzo.
‘O scultore pazzo
Evidenze di un forte squilibrio mentale si cominciarono a notare nel 1885 quando il re chiese a Gemito di realizzare la statua di Carlo V per la facciata di Palazzo Reale. Un’opera classica, quindi ben al di fuori dello stile del nostro scultore. Pare che a far perdere il senno a Gemito fosse stato proprio quel progetto. Fatto sta che finì in un manicomio dal quale fuggì per rifugiarsi nella sua casa in via tasso, dove rimase relegato per ben 20 anni.
Nel 1906 la segregazione autoimposta finì a causa di un evento tragico. Anna morì, a causa di una malattia, proprio come Mathilde. Gemito ritrasse in alcuni disegni gli ultimi attimi della donna e da allora riprese la sua attività. Tornò ad eccellere e spesso divenne modello delle sue stesse opere. Sono molti, infatti, gli autoritratti che caratterizzano gli ultimi anni della sua vita. Una vita che si spense nel 1929, giusto in tempo per non dover assistere agli orrori della guerra.
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